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Lombardia e Toscana all'attacco sulla semplificazione delle leggi urbanistiche
Basterà la Dia per costruire una casa. Box e sottotetti: agevolati i permessi
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Articolo per Il Consulente Immobiliare
Regioni all'attacco sulla semplificazione delle procedure urbanistiche. D'ora in poi in Lombardia e Toscana basterà una semplice Dia (denunzia d'inizio attività) con venti giorni di attesa, anche per edificare un immobile. La responsabilità del rispetto dei regolamenti edilizi e degli strumenti urbanistici ricadrà per intero sulle spalle dei progettisti e dei committenti dell'opera. E' questa la principale (ma non l'unica) novità contenuta in due leggi regionali davvero rivoluzionare, la 14 ottobre 1999 n. 52 toscana e la19 novembre 1999, n. 22 lombarda. Le analizziamo in questa inchiesta, condotta con la preziosa collaborazione di Franco Dal Mas, consigliere e membro della commissione urbanistica del Collegio dei Geometri di Milano e di Guido Elmosi, vicedirettore di Assimpredil (l'Associazione delle imprese edili della provincia di Milano).
La legge 22 della Regione Lombardia
La più decisiva innovazione è contenuta nell'articolo 4. Raccontata in parole semplici, ma più che sufficienti, consiste nell'estendere la denuncia di attività a tutti gli interventi edilizi, con unica esclusione per quelli definiti come "di ristrutturazione urbanistica" dall'articolo 31 della legge 457/78.Più in dettaglio la legge 22 pone sotto Dia le opere elencate all'allegato A della deliberazione della Giunta regionale n. VI/38573 del 25 settembre 1998, che riprende, interpretandole e dettagliandole, le categorie di intervento della manutenzione ordinaria, straordinaria, restauro e risanamento conservativo e ristrutturazione edilizia. In più, aggiunge altre tre categorie che elenchiamo qui sotto:
1) Le "modifiche ed integrazioni del patrimonio edilizio esistente" a sua volta ripartite in:
- Sopralzi, cioè realizzazione di Slp (superficie lorda di pavimento) e/o superficie accessoria aggiuntive in innalzamento di un edificio coperto, senza aumento della superficie coperta;.
- Ampliamenti, cioè realizzazione di Slp e/o superficie accessoria aggiuntive in allargamento di un edificio esistente, con aumento della superficie coperta.
- Demolizioni, cioè interventi volti a rimuovere in tutto o in parte edifici o manufatti preesistenti, qualunque sia l'utilizzazione successiva dell'area risultante.
2) La "ricostruzione edilizia", che prevede gli interventi volti a realizzare organismi anche diversi da quelli preesistenti, fatti salvi i limiti di Slp, volume, altezze e distanze preesistenti
3) La"nuova edificazione" che comprende i nuovi edifici o manufatti fuori terra o interrati e le Slp e/o superfici accessorie su aree inedificate. Sono inclusi anche gli interventi di urbanizzazione primaria e secondaria, l'installazione di torri e tralicci radio-trasmittenti e ripetitori e l'installazione di manufatti leggeri, prefabbricati, roulottes, campers , case mobili, imbarcazioni diretti a soddisfare esigenze durature nel tempo
Come di consueto, l'articolo 5 della legge 22/99 esclude dalla Dia le opere su immobili sottoposti a vincolo storico-monumentale o ambientale.
Pare quindi evidente come sia stato spinto al massimo l'acceleratore sulla semplificazione di tutte le opere edilizie esistenti.
Nuovi parcheggi
Con altri tre articoli, la legge lombarda 22/99 fa diversi passi in avanti nella facilitazione alla costruzione e al recupero di parcheggi, non solo rispetto alle norme della cosiddetta "Tognoli", ma anche rispetto a quelle, già più avanzate, inserite nella Tognoli stessa dalla "Bassanini due".Rammentiamo che la Tognoli, pur concedendo agevolazioni urbanistiche notevoli per la creazione di parcheggi al piano terra e a quello sotterraneo degli edifici esistenti, è stata poco sfruttata. Il suo limite principale consisteva nella creazione di un rapporto di pertinenza anomalo tra appartamenti e posti auto che da una parte imponeva un legame stretto (ad ogni appartamento un posto auto) difficile da realizzare anche per problemi di spazi negli edifici e dall'altra impediva nei fatti la vendita o l'affitto dei parcheggi in modo indipendente dagli appartamenti. Con la Bassanini 2, invece, è divenuto possibile anche per solo una parte dei condomini (al limite uno solo) costruire o adattare spazi al di fuori degli edifici a parcheggio. La legge regionale 22/99 rende infine possibile un rapporto di pertinenza in senso "proprio", quello tipico del codice civile, che prevede la libera vendita e locazione. Non solo: i limiti di distanza sono allargati fino a qualsiasi comune confinante rispetto a quello dove è posto l'immobile. Facendo un esempio, niente vieta oggi a un abitante a Milano in fondo a viale Monza (all'estremo nord est della metropoli) di acquistare o far costruire un box pertinenziale a Corsico (comune confinante nel sud est della città, a quasi un'ora di percorso di macchina da viale Monza).
Non v'è alcun dubbio: il parcheggio diviene una categoria urbanistica privilegiata di insediamento o costruzione, rispetto a tutte le altre. E' evidente lo scopo di favorirlo con deroghe ai regolamenti edilizi e agli strumenti urbanistici come una delle soluzioni al problema del traffico e dell'anti-estetico accumularsi di mezzi posteggiati sulle vie Tant'è vero che il fatti di costruire anche solo allo scopo di vendere od affittare non viene più demonizzato. Anzi si dice a chiare lettere che sono consentite "in ogni caso" opere per l' accessibilità di box e garages, come rampe e aerazioni (un punto restato in sospeso nella Tognoli). Restano solo alcuni limiti della Tognoli stessa: i parcheggi non debbono essere incompatibili con il piano del traffico, la tutela dei corpi idrici, l'uso delle superfici sovrastanti.
Posti questi presupposti, la condizione che i comuni siano confinanti è una pura ipocrisia. Tanto sarebbe valso evitarla: in fondo è più probabile che un abitante in Brianza abbia bisogno di un box a Sesto San Giovanni, da dove può prendere il metrò per lavorare a Milano, piuttosto che un residente in viale Monza possa servirsi di parcheggi pertinenziali a Corsico.
Sottotetti
La nuova legge lombarda si serve dell'articolo 6 per apportare non una modifica, ma una vero e proprio capovolgimento di principio, della legge regionale 15 luglio 1996 numero 15, sul "Recupero ai fini abitativi dei sottotetti esistenti". Quest'ultima aveva infatti stabilito che il recupero dei sottotetti doveva avvenire "senza alcuna modificazione delle altezze di colmo e di gronda e delle linee di pendenza delle falde". Viceversa la nuova legge prevede "modificazioni delle altezza di colmo e di gronda e delle linee di pendenza delle falde, purché nei limiti di altezza massima degli edifici posti dallo strumento urbanistico" e unicamente allo scopo di raggiungere i parametri di altezza minima per l'abitabilità.Da qui a poter obiettare che si è stabilito un poco discriminato "diritto al sopralzo" degli edifici al fine di rendere sempre e comunque abitabili i sottotetti, poco ci manca. Posto poi il principio che un edificio è "esistente" quando è terminato, da qual momento in poi si potrà elevare in altezza creando un ulteriore piano abitabile al posto di locali utilizzati solo a soffitta. Se ne deduce che è concesso qui, di fatto anche se non di diritto, una strappo a qualsiasi regola di standard urbanistico che preveda comunque un rapporto tra cubature e superfici da edificare.
"In effetti", è il parere di Dal Mas, "si è un poco esagerato: sarebbe stato meglio concedere sì il diritto a modificare le altezze, ma entro percentuali limitate, quando al sottotetto manca poco per raggiungere l'abitabilità". Elmosi di Assimpredil non è d'accordo: "In fondo il vero problema della legge 22 era quello di risolvere il problema dell'utilizzo dei sottotetti negli edifici già costruiti da tempo, che rappresentano quasi tutti quelli esistenti. Inutile nasconderselo: il fai da te dei cittadini ha portato a servirsene come parte dell'abitazione non appena possibile, anche senza i requisiti di abitabilità, illuminazione e riscontro d'aria che sarebbero augurabili. Tanto vale regolarizzare queste situazioni, anche dal punto di vista igienico e dei criteri edilizi".
Resta da sperare che i regolamenti edilizi comunali e/o le commissioni edilizie agiscano per impedire certi obbrobri, qual ad esempio la costruzione di un tetto a punta in una paese di pianura, dove vige la tipologia di quello a lieve inclinazione o, al contrario, il recupero di volumetria fatto appiattendo un tetto a grande pendenza, nelle zone montane.
La nuova legge urbanistica Toscana
Anche la legge regionale toscana (14 ottobre 1999 n. 52) ammette che gli interventi che prevedono concessione edilizia siano sottoposti unicamente all'autorizzazione con silenzio assenso o alla semplice denuncia di inizio attività. Pone chiaramente però una condizione: che gli strumenti urbanistici comunali contengano già "precise disposizioni planivolumetriche, tipologiche, formali e costruttive, la cui sussistenza sia stata esplicitamente dichiarata" in Consiglio Comunale, "in sede di approvazione dei nuovi strumenti o in sede di ricognizione di quelli vigenti, previo parere della Commissione edilizia se istituita, ovvero dell’ufficio competente in materia". Gli interventi sottoponibili a procedure urbanistiche semplificate, in cui in sostanza progettista e committente si assumono la responsabilità di conformità agli strumenti urbanistici, sono molto vasti. Comprendono infatti:a) gli interventi di nuova edificazione;
b) la realizzazione di opere di urbanizzazione primaria e secondaria da parte di soggetti diversi dal Comune;
c) la realizzazione di infrastrutture e di impianti, anche per pubblici servizi, che comporti la trasformazione in via permanente di suolo inedificato;
d) la realizzazione di depositi di merci o di materiali e la realizzazione di impianti per attività produttive all’aperto, che comporti l’esecuzione di lavori cui consegua la trasformazione permanente del suolo inedificato;
e) gli interventi di ristrutturazione urbanistica, cioè quelli rivolti a sostituire l’esistente tessuto urbanistico - edilizio con altro diverso, mediante un insieme sistematico di interventi edilizi, anche con la modificazione del disegno dei lotti, degli isolati e della rete stradale;
f) le addizioni volumetriche agli edifici esistenti non assimilate alla ristrutturazione edilizia.
Come si può notare, in questo elenco sono compresi tutti gli interventi di grandissimo rilievo , volti a trasformare notevolmente il tessuto edificato di una località.
Non è invece necessaria la completezza o la variazione degli attuali strumenti urbanistici comunali perché semplice Dia o autorizzazione edilizia siano applicabili per gli interventi di restauro e recupero conservativo e per quelli di ristrutturazione edilizia. Non è finita: sono assimilati esplicitamente a ristrutturazione edilizia:
1) le demolizioni con fedele ricostruzione degli edifici, intendendo per fedele ricostruzione quella realizzata con identici materiali e con lo stesso ingombro planivolumetrico (salvo il fatto che si tratti di innovazioni necessarie per l’adeguamento alle norme antisismiche);
2) la demolizione di volumi secondari e la loro ricostruzione in diversa collocazione sul lotto di pertinenza;
3) le addizioni, anche in deroga agli indici di fabbricabilità per realizzare i servizi igienici, i volumi tecnici e le autorimesse pertinenziali, il rialzamento del sottotetto, ove ciò non sia escluso dagli strumenti urbanistici, al fine di renderlo abitabile senza che si costituiscano nuove unità immobiliari;
Rientrano inoltre nelle procedure semplificate anche i cambi d'uso, con o senza opere edilizie, le recinzioni, la rimozione delle barriere architettoniche anche in aggiunta ai volumi esistenti e in deroga agli indici di fabbricabilità, i parcheggi pertinenziali, le demolizioni.
Esistono naturalmente dei limiti alla procedura effettuata con semplice Dia . Occorre infatti ricorrere ad autorizzazione quando gli interventi (o i cambi d'uso) coinvolgono gli immobili con vincoli storico-artistico o ambientali (sottoposti rispettivamente alle autorizzazioni delle Soprintendenze, oppure della Regione) e quelli situati nelle zone A (i centri storici).
I comuni, con i loro regolamenti edilizi, possono elencare quale documentazione o quali elaborati progettuali siano da allegare alle richieste di Dia o ai autorizzazione. Vengono però ribaditi a chiare lettere due principi, impliciti nelle leggi sulla trasparenza amministrativa, ma tante volte ignorati nella prassi urbanistica. Il primo è : "Non può essere prescritta all’interessato la preventiva acquisizione di autorizzazioni, documentazioni e certificazioni di competenza del Comune stesso". Il secondo, non meno importante, è: "L’acquisizione di tutti i pareri, nullaosta o atti di assenso comunque denominati essenziali per la valutazione del progetto, è a carico del Comune nei termini temporali del procedimento anche mediante la convocazione di apposita conferenza dei servizi".
Ricordiamo che un sentenza delle Sezioni unite della Cassazione che ha fatto epoca, la n. 500/1999, ha stabilito che la pubblica amministrazione è responsabile per danni per lesione agli interessi legittimi del cittadino, compreso quelli di ottenimento di una concessione o un'autorizzazione edilizia. E' quindi chiaro che in base a tale principio, e alle precisazioni contenute nella legge regionale 52/99 sull'obbligo del Comune a non richiedere doppioni di documentazione e di darsi da fare in tempi stretti per ottenere pareri o nulla osta, la cattiva abitudine di ritardare sine die il rilascio dei permessi con scuse burocratiche diviene assai pericolosa.
Considerazioni finali
L'espressione "cambiamento epocale" è fin troppo abusata negli articoli giornalistici. Tuttavia non è possibile definire altrimenti la profonda innovazione portata dalle leggi urbanistiche di Lombardia e Toscana, nelle procedure urbanistiche vigenti. Lo testimonia l'entusiasmo con cui questa rivoluzione è stata salutata dagli operatori in campo immobiliare ed edilizio.In sostanza muta profondamente il ruolo della pubblica amministrazione. I comuni e, per la loro parte, lo Stato, la regione, gli altri enti locali e quelli preposti alle normative tecniche, sono invitati a dettare le regole, cioè i limiti entro cui ai privati è dato di fare quanto preferiscono. Le procedure di richieste di permessi urbanistici (opere interne, dia, autorizzazione, concessione) divengono in sostanza semplici depositi di documentazione e di elaborati planimetrici, con cui un professionista (in genere il progettista) assevera l'opera alle norme vigenti. La funzione di controllo della pubblica amministrazione non viene più esercitata, salvo scarse eccezioni, al momento del vaglio del progetto presentato, ma soprattutto dopo, quando il cantiere è già partito o addirittura a distanza di anni di tempo da quando l'opera è stata terminata. Spiega Elmosi di Assimpredil: "Se l'opera infatti non è conforme alle regole urbanistiche, si rischiano comunque le sanzioni penali e civili del caso. Viene così ridotta, ai minimi termini, la discrezionalità del funzionario pubblico nello stabilire termini infiniti per la pratica edilizia, una brutta abitudine che è stata alla base non solo di casi di inefficienza ma anche dei tanti casi di corruzione e concussione che hanno provocato Tangentopoli".
Ci vorrà tempo. Prima però di rallegrarsi troppo, occorre mettere le mani in avanti. E' poco probabile, innanzitutto, che le leggi regionali di cui abbiamo parlato, per quanto già in vigore, diventino in poco tempo operative. Talvolta si impone che vengano recepite come parte dei regolamenti edilizi e delle norme di attuazione del Piano Regolatore comunale. Altre volte, la scelta di applicare o meno le procedure urbanistiche semplificate dipende dalle scelte del singolo comune. In ogni caso occorre un profondo mutamento di mentalità della burocrazia comunale, perché dalla parola scritta si passi alla realizzazione pratica.
Le insidie delle nuove regole.
La semplificazione delle procedure nasconde alcuni trabocchetti. Proviamo ad individuarli."Non sarà sempre facile", avverte Elmosi, " trovare progettisti disposti ad assumersi in prima persona la responsabilità di asseverare un progetto , in presenza di opere di un certo "peso" urbanistico o che comportino aumenti di volumetria". Il progettista deve avere infatti ben chiari tutti i vincoli edilizi o urbanistici che limitano il diritto di proprietà, in quella determinata località o quartiere. Se, come spesso accade, il dati necessari non sono facilmente reperibili o sono interpretabili in maniera contraddittoria a seconda dei funzionari politici o amministrativi che se ne occupano, il rischio diviene davvero alto. "L'esperienza ci ha insegnato", aggiunge Elmosi, "che il difficile è avere certezze. E' infatti un impresa scovare un funzionario comunale che si assuma la responsabilità di dire "sì" o "no" a una precisa richiesta su criteri e modi di edificabilità di un'area. Troppo spesso navighiamo a vista, con il continuo timore di incagliarci in scogli che emergono improvvisamente dall'acqua.
Se ne deduce che l'avvio di un cantiere, magari con semplice dichiarazione di inizio attività e in tempi ristrettissimi (venti giorni) non sarà sempre possibile, anche quando sulla carta esisterebbero tutte le condizioni per agire.
"Naturalmente", dice Elmosi, " a rischiare non è certo solo il progettista ma anche il committente, che investe capitali, contrae prestiti, mutui o obbligazioni con terze persone. Un controllo, un blocco del cantiere, una diffida, un ordine di demolizione possono infatti essere la sua rovina".
Viceversa la pubblica amministrazione può essere fortemente tentata a scaricare ogni sua responsabilità, lasciando procedere senza ostacoli tutte le pratiche edilizie (perlomeno nel periodo previsto per l'autorizzazione o la denuncia di attività) per poi di riservarsi di intervenire in seguito e in qualsiasi momento, a cantiere attivo o a edificio ultimato da tempo. Non essendo costretta dalle leggi a fornire tutta la documentazione su eventuali vincoli e a darne una propria interpretazione, resta arbitro assoluto nel futuro della vita o della morte dell'opera edile. La sola minaccia di eseguire controlli può indurre il proprietario dell'opera a pagare delle tangenti, sia nel caso in cui egli sia perfettamente sicuro delle sue ragioni, sia che abbia qualcosa da nascondere.
E' inoltre evidente come in alcuni piccoli comuni, dove i funzionari possono avere legami parentali o amicali stretti con i committenti di opere edili, e magari la consapevolezza sociale e urbanistica è bassa, questo meccanismo possa riservare ulteriori pericoli. L'assessore o il sindaco possono facilmente comportarsi in modo "pilatesco", riservandosi la possibilità di controlli urbanistici solo nel caso in cui l'opinione pubblica o la magistratura intervenga in modo pesante contro un realizzazione edile, e preferendo il "lasseir faire" negli altri casi.
I rimedi
Dice Dal Mas; del Consiglio dei Geometri: ""Gli inghippi provocati dalle procedure urbanistiche semplificate erano evidentemente ben presenti nella mente di chi ha steso il nuovo regolamento edilizio del Comune di Milano, tanto da fargli forgiare due interessanti strumenti: il certificato urbanistico e il progetto preliminare".Il certificato urbanistico, introdotto dall'articolo 114, va rilasciato entro 30 giorni dalla richiesta e specifica, "per l'immobile oggetto della richiesta stessa, l’esatta ubicazione dell’area, la zona omogenea di piano, la destinazione funzionale, la volumetria edificabile, gli eventuali vincoli ambientali e paesistici, l’obbligo di asservimento, le previsioni degli strumenti urbanistici vigenti o adottati nonché le modalità di intervento eventualmente previste e, nell'ipotesi di aree inedificate, l'effettiva capacità edificatoria delle stesse". Il certificato si presenta quindi come una carta d'identità dei limiti urbanistici gravanti sul singolo edificio: quanto a quelli igienico-edilizi si suppone che il professionista che firma il progetto ne sia completamente edotto.
Il comma 2 dell'articolo 114 stabilisce poi che "Il documento … ha carattere certificativo rispetto alla disciplina vigente al momento del suo rilascio, ma non vincola i futuri atti che l'Amministrazione Comunale può emanare nel rispetto delle norme vigenti in materia". Si suppone qui che con la definizione "carattere certificativo" si intenda l'impegno della pubblica amministrazione milanese a considerare il documento come "probante", o meglio come descrizione complessiva di tutti i vincoli esistenti, nessuno escluso. Ciò darebbe al cittadino la famosa certezza del diritto, o meglio dei propri diritti e dei loro limiti.
Il Progetto preliminare, previsto dall'articolo 112 del regolamento edilizio, consiste nell'esame preventivo di una bozza del progetto da parte della Commissione edilizia comunale, la quale esprime direttamente, entro un mese, " la propria valutazione sulla qualità architettonica … e sugli eventuali profili di tutela paesistico-ambientale". Il parere preventivo della Commissione Edilizia evita la necessità, da parte del Comune di chiedere un successivo parere definitivo.
"Questi due strumenti", è il parere di Dal Mas, "possono dare certezze sotto l'aspetto urbanistico sia al progettista che al committente dell'opera edile. Se saranno adottati in tutti i comuni, o meglio ancora riconosciuti anche da leggi regionali, permetteranno di contrastare con una certa efficacia gli effetti negativi della semplificazione, senza per questo creare nuovi ostacoli pretestuosi all'attività urbanistica".
Il cambio d'uso
Come abbiamo visto, i cambi d'uso con o senza opere edilizie sono stati inseriti dalla Regione Toscana tra le opere che necessitano di semplice Dia. Ma altrettanto non si può dire per la legge 22/99 lombarda, che non si occupa della regolamentazione dei cambi d'uso.. A questi ultimi, oltre che a modifiche rivoluzionarie negli standard urbanistici, era infatti dedicato il progetto di legge regionale n. 193, approvato definitivamente dalla regione Lombardia nella seduta del 16 febbraio 2000. Come è noto a tutti gli addetti ai lavori, però, il Consiglio dei Ministri ha voluto bocciare tale legge, rinviandola alla Regione. Ne sono scaturite polemiche a non finire, con accuse di illegittimo prevaricamento delle competenze urbanistiche regionale da parte di politici locali e della stessa Ance (Associazione nazionale costruttori edili).Vale comunque la pena ricordare cosa prevedeva il progetto di legge per quel che riguarda i cambi d'uso, se non altro per gli aspetti non contestati dal Governo: essi dovrebbero infatti ripresentarsi invariati anche dopo le prossime elezioni in Lombardia.
I cambi d'uso senza opere edilizie, purché conformi alle previsioni urbanistiche sarebbero divenuti del tutto liberi. Erano soggetti a semplice comunicazione in Comune solo qualora riguardassero unità immobiliari o parti di esse con superficie lorda di pavimento superiore a 150 metri quadrati.
I cambi d'uso con opere edilizie erano soggetti , rispettivamente, agli stessi permessi previsti per le opere edilizie da realizzare (concessione, autorizzazione o Dia).
Restava la facoltà dei comuni di indicare, attraverso i Piani Regolatori, quali singole destinazioni d'uso non fossero compatibili rispetto a zone omogenee od immobili e quali necessitassero di un aumento o variazione degli standards. Tuttavia in caso di cambio d'uso senza opere non erano possibili limitazioni, fatta esclusione per gli esercizi commerciali di superficie pari o superiore a 150 metri quadrati (comuni con popolazione inferiore a 10 mila abitanti) oppure 250 metri quadrati (comuni con popolazione superiore).
La scure del Governo si è abbattuta, per quel che riguarda i cambi d'uso, solo sul principio della monetizzazione degli standards, lasciando intoccate le altre norme previste.
Pro e contro la liberalizzazione dei cambi d'uso.
Vanno fatte sin da subito alcune considerazioni.Primo, non c'è dubbio che sia la legge toscana che il progetto lombardo finiscono per fare del cambio d'uso una categoria "in via di estinzione", perlomeno all'interno di zone con la stessa destinazione urbanistica: esso finisce per avere una connotazione puramente fiscale, per decidere in quale categoria catastale va inserita l'unità immobiliare.
Secondo, anche tra i fautori della liberalizzazione in edilizia, i pareri possono essere contrastanti. Afferma infatti Guido Elmosi, di Assimpredil (L'Associazione degli imprenditori edili di Milano e Provincia): "Anche se il progetto di legge fosse stato definitivamente approvato, c'era ancora tanta strada da fare sul percorso della liberalizzazione. A mio parere dobbiamo avere il coraggio di ammettere che esistono solo due funzioni d'uso delle aree che debbano essere sottoposte a un attento vaglio urbanistico, che impedisca cambi d'uso capaci di stravolgere il tessuto di una città edificata: quella dedicata a scopi industriali o assimilabili (grandi impianti di gestione dell'energia, discariche eccetera), e quella dedicata alla grande distribuzione. Al di fuori di queste due funzioni, l'urbanistica deve essere in grado solo di dettare regole per uno sviluppo ordinato e spontaneo, non frapporre ostacoli ad esso".
Più sfumato è il parere di Dal Mas, del collegio dei geometri di Milano: " E' evidente che la trasformazione di un ufficio in abitazione, o viceversa, debba essere totalmente liberalizzata, purchè avvenga in modo sporadico o a macchia di leopardo. Tuttavia può accadere che decine o centinaia di cambi d'uso singoli, eseguiti in un periodo di tempo limitato, possano portare a importantissime trasformazioni di un quartiere. I casi da manuale sono quelli della cacciata dal centro storico delle abitazioni a favore del terziario, o la nascita di nuove arterie commerciali. Processi di questo genere possono essere positivi o negativi, a seconda dei pareri, ma quel che è certo è che causano profonde conseguenze. Ad essere influenzati sono trasporti, viabilità, necessità di parcheggi, reti di distribuzione delle utenze e, più in generale, tutte le opere di urbanizzazione primaria e secondaria . Sono trasformazioni che non vanno impedite per motivi ideologici, ma senz'altro vanno "accompagnate" dagli strumenti urbanistici perché avvengano in modo ordinato e logico. Quindi una totale liberalizzazione dei cambi d'uso ha senso solo se i comuni sapranno fornirsi di strumenti adeguati".